28 novembre 2007

Punto Senza Capo.

Stamattina il sole batte sul muro bianco del palazzo di fronte, quasi accieca il suo riverbero sulle finestre. La coperta rossa del vicino è sempre sul davanzale, come il mio sguardo. Un vuoto nella testa, alla bocca dello stomaco, negli occhi. Stamattina. Domattina. Dopodomani ancora. Il latte di soia s'è raffreddato subito. I biscotti sono finiti. Non mi sono leccata le dita, stamattina, per gustarmi le briciole di stelle attaccate ai polpastrelli.
Sono vuota, esposta, con le labbra all'ingiù dentro il mio mondo e col sorriso da clown per strada. Faccio sorridere, io.. invece, sono triste, dentro. Sull'ugola solo piccole vibrazioni. Ho sognato di cantare a squarcia gola ieri notte. Con tutta la forza che avevo in gola. Ora sono muta, come se qualcuno m'avesse rubato i suoni. Lo specchio è grigio. Il libro è sempre là. Ho scritto qualche pagina, ancora.. ma, tu l'hai chiuso. L'hai nascosto sotto il letto. Sono in ginocchio, a terra, piegata su me stessa, allungo il braccio, cerco di afferrarlo ma non ci arrivo. Non ci arrivo. Lo strato di polvere si farà pesante.

Si canta: "credi, possiamo sempre".

Voglio crederci, davvero. Ma è difficile. Oggi.

Ps. Posso sempre farmi suora o far all'amore come comanda dio.

Sì.



On air: "Possiamo Sempre" - G.Nannini.

Foto di Claudio Martella.

26 novembre 2007

Foglie Zuccherate.


Il paesaggio scorre mentre lei rimane immobile. Sulla lingua ballano parole mute. Le foglie raccontano della loro primavera. Tristi abbandonano i rami per baciare la terra. Quel verde le entra negli occhi, anche al buio può vederlo. Il muschio bianco profuma la stanza. Al di là delle tende rosse c'è tanto dolore ma così tanta vita. Tira il piumone fino a coprire i capelli. Trattiene il respiro, come sdraiata sul fondale dell'oceano. Sente i polmoni gonfi d'aria e sensazioni. Stringe, nei pugni, la coperta. Quando riapre gli occhi, tutto è scuro. Non sa dove mandare lo sguardo, non sa chi cercare. Riemerge ascoltando la terra sotto i piedi, eppure si sente così lontana. Senza peso nè età, senza senso, senza ossa nè cuore. Senza testa nè carne. Senza. Sprovvista di qualsiasi istruzione. - Senza.Voglia.Di. - La gente, al "Bar Départ" si saluta, s'abbraccia e si bacia. Lei è sola ed è foglia, abbandonata dal ramo. Tocca terra. Prende coscienza. Le ali si aprono. Tagliano le nuvole, il cuore sobbalza per qualche istante. Poi tutto torna com'era prima. Le dicono d'essere razionale. Le dicono di seguire la strada del cuore. Le dicono che "c'est la vie". Le dicono tante cose e lei l'ascolta, le raccoglie con le mani a conchiglia. Le conserva in una scatola, per farne tesoro. Quello che dovrebbe fare è ascoltare le rime che il cuore compone per lei, ogni sera. Quelle sere in cui lei, invece, soffoca il suo grido d'amore col cuscino ricamato di sogni e incertezze. Il grido di quella ragazza che, al bar delle partenze, ha affogato silenziose lacrime in un cappuccino troppo liquido e non le importava che gli altri la stessero guardando. "Che guardino pure!", ha pensato. Lei sa amare e sa piangere. Sa donarsi, lei. Fragile, dura, profumata, saporita, morbida, colorata, cosparsa di zucchero a granelli. Lei, come una caramella.


On air: "Lontano" - L. Einaudi.

Foto di Modimo.

22 novembre 2007

[Sopra(t)tutto Vita]


Viva come gatta in bilico sulla ringhiera. come acqua fresca che scorre dalla fontana della piazza. come due ballerini di tango. come primo bacio. come le tue mani sui miei fianchi. come quando ci lasciammo. come quando ti conobbi. come dita nel cioccolato. come vento sul viso. come gomiti appoggiati su finestrini a metà. come sangue di ferita. come sguardi lontani. come voglia senza confini. come lacrime amare. come grida nella notte. come tasti di pianoforte. come pensieri che scivolano ripidi.
Viva come adesso che, mentre sto ancora sorvolando le nuvole, il mio pensiero è stato più veloce. E' già arrivato fino a te. Ti sta accarezzando, ti sfiora le labbra ma tu non lo sai.

La Vita come un biglietto d'aereo. La fila non va saltata, ci regala attimi per riflettere. Prendo fiato, inspiro. Chiudo gli occhi, rido ad alta voce. Apro le braccia a questa vita, al di sopra del cielo, al di sopra di tutto.


On air: "Je t'emmène au Vent" - Louise Attaque.


Foto: "Vagabundo" - Alba.

20 novembre 2007

Ad una Stampella Appendo il Tempo.


Il tempo è una stoffa, di velluto rosso cangiante. La taglio in piccoli lembi, la cucio senza alcuna cognizione. Nessun ditale a proteggermi l'indice, il filo che uso è di un altro colore, ma, in fondo, non m'importa. Lo scucio dove mi sembra che la stoffa tiri un pò. Ecco!. Ora mi piace, così. Unisco i piedi, alzo le braccia verso il soffitto, come se dovessi tuffarmi verso l'alto, sfidando le leggi gravitazionali. Lo indosso questo tempo, lentamente. Il velluto accarezza la mia schiena nuda e la sottile peluria bionda dietro il collo, al contatto con quella morbida consistenza, s'elettrizza insieme ai capelli.
Questo tempo lo sento addosso, come un abito. A volte mi soffoca, mi stringe alla gola come mano grande e ferma; le Ore sono gelose dei Minuti. Altre volte, invece, mi lascia libera di correre, scalza, su terreni ancora inesplorati, mi dà la possibilità di ascoltare la tua voce che candidamente svela, con un ritmo tutto suo, il tuo nome. Ti sorrido quando tu non mi vedi, seduta a terra, incrociando le gambe e tirando, fin sopra le ginocchia, la sottana. Quando ti vedo arrivare, mi alzo, prendo tra le dita gli angoli della gonna, come facevano le dame dell'ottocento e mi inchino, delicatamente, e mentre tengo gli occhi bassi sul pavimento, un ingenuo sorriso s'apre sulle labbra leggermente rosate.
La notte, quando mi svesto, rimango nuda a fissare la mia pelle bianca come latte. I capelli sciolti sulle spalle, sembrano miele. Nuda e sola coi miei errori, appendo il tempo ad una stampella, con la voglia, l'indomani, di cucire un tempo nuovo.


On air: "Fuori dalla Notte" - Ludovico Einaudi.



16 novembre 2007

Bonjour Ignorance.


Sei belva con denti affilati ed occhi scuri nei quali non riesco a leggere. Temo il tuo volto. La tua maschera ha i tratti di gente comune, persone che conosciamo, le cui vite incrociamo troppo spesso. Persone educate, con cui sorseggiamo il caffè al bar, con cui commentiamo il giornale appendendo alle nostre labbra frasi di circostanza e anestetici sorrisi. Sei un mostro che deturpa la nostra società, che tutto divora. Sei qua, Ignoranza. I miei occhi ti vedono, le mie orecchie ti ascoltano, le mie mani ti toccano, le mie gambe ti raggiungono. Ti scovo. Divento guerriera spartana, provo a combatterti senza paura. Le mie parole sono le mie armi e a proteggermi dai tuoi colpi è pronto il mio scudo d'argento. Lo scudo è pesante - a volte troppo - fatico a sollevarlo mentre tu mi sferri i colpi. Mi hai seguita per azzannarmi al collo, mentre camminavo, ignara, sulla mia via. Riesco a schivarti, comincio a scappare, senza voltarmi. Non voglio incrociare il tuo sguardo. Respiro affannosamente, divorando cubi d'aria che rigetto con tanta rabbia. Il freddo arriva dalla pelle al cuore. L'immagine che si riflette negli occhi mi fa tremare. L’Ignoranza ha molti abiti, l’indossa col sorgere del sole e fino a notte alta non fa che mostrarli. Quest’orribile mostro lo incontro, tutti i giorni, portato al guinzaglio dall’Indifferenza che balla in punta di piedi, sotto ponti dimenticati e baracche che puzzano di piscio di cani e dei loro padroni, esseri senza nome. Nei locali alla moda s’incontra l’Ipocrisia, che ha sempre la cravatta nera, il Potere, che nasce e cresce tra le mani di chi si scambia regali e bottiglie di champagne. La Violenza, sempre vestita di rosso e nero, che - come una bella donna - si lascia accarezzare e poi t'infilza con le sue unghie smaltate. Non manca nemmeno lei. La Paura. Anziana signora che ti annusa, segue le tue tracce, con passo felpato s'avvicina, chiude gli occhi mentre ti annusa i capelli e si ciba dei tuoi sogni. S'insinua sotto pelle come pulce invisibile e quando ne prendi coscienza è già troppo tardi. Fa parte di te. E' neo invisibile sulla tua pelle. Infine, l'ultimo dio. Il dio Danaro. Il più amato. Per lui si è pronti a vendere l’anima al diavolo. Lo vedo in quella casa lussuosa. Scende le scale, con i capelli tirati indietro, scuri. Elegante nel suo completo grigio, le scarpe tirate a lucido. Si ferma su quel gradino e ci guarda dall'alto in basso con quello sguardo che significa "tu sei già mio ma io voglio di più". Tu abbassi la testa, ti guardi le mani e non ti riconosci più. Ti copri il viso con le mani. Alzi lo sguardo verso quegli dèi maledetti che banchettano. L'ignoranza, l’Indifferenza, l'Ipocrisia, il Potere, la Violenza, la Paura. Sorseggiano vino rosso d'annata, lascive, si strusciano l'una sull'altra. Formano una piramide di corpi su quei gradini. Tu ti senti piccolo, laggiù in basso. In fondo. A tutto. Guardi intorno a te, fuori da te, dentro di te. Cerchi, roteando gli occhi, un punto di luce, qualsiasi esso sia. Lo cerchi e non lo scorgi. Continui a respirare e a correre. L'aria si fa pesante, le gambe tremano, il cuore ti urla nel petto. Le lacrime, cadendo, si gelano. La tua pelle è piena di nei. Vorresti strapparla via, morderla e farla a brandelli pur di non vedere quei punti costellare la tua identità. Un senso d'inadeguatezza ti strattona ma tu ti ribelli. Ed urli e scalci e sferri pugni in aria, combatti contro qualcosa che è più grande di te, a mani nude. Lo scudo d'argento è troppo pesante. Loro sono ancora là. Svestite, truccate, si baciano e continuano l'orgia dei sensi, le loro risa risuonano nella sala. Stanno asservendo sempre più gente ai loro piedi. Gente che domani indosserà gli abiti dell’Ignoranza, dell’Indifferenza, dell’Ipocrisia, della Violenza, del Potere e sul viso, come in un ballo in maschera, maschere.


On air: "Requiem for a Dream" - Clint Mansell.

14 novembre 2007

Vertigini.


L'aria è umida, le scarpe sono pregne d'acqua. L'asfalto è liquido, gli ombrelli colorano la città.
Il cielo è creato dalle mani di un bambino che sta imparando a disegnare. Un ragazzo indiano è seduto sotto la tettoia del distributore di benzina. Gli passo accanto, lo fisso negli occhi qualche secondo. Mi colpiscono i suoi denti bianchi. Mi sta sorridendo. Non posso che ricambiare quel sorriso, così spontaneo. Continua a piovere, ininterrottamente. Tutti corrono, sembrano avere un motivo per cui correre, una meta dove fuggire o da cui fuggire. Io, sola, cammino. Con la testa rivolta a quel cielo così muto, in questa giornata qualunque.
Un senso di pace, improvvisamente, m'invade, come una vertigine inaspettata. Perdo l'equilibrio, i piedi vogliono cambiare rotta. E' forte la voglia di camminare sotto quelle gocce, di abbandonare l'ombrello, di rivolgere i palmi delle mani verso l'alto e guardare quelle silenziose sfere atterrare sulla pelle. Nascondere il viso, come una tartaruga, nel mio cappotto, lasciando scoperti solo gli occhi, per cibarmi di tutto quello che c'è là fuori.

Mi sono chiesta chi fossi oggi e poi, di colpo, ho capito.
Ero una spugna. Una spugna di quelle grezze, gialle, morbide, che bevono tanta acqua mischiata a sentimenti ed esperienze, pelli e odori, sorrisi e occhi malinconici.



On air: "Those Dancing Days Are Gone" - Carla Bruni.



Foto: "Sky over Rome" - Claudio Martella.

12 novembre 2007

Marmellata d'Arance Amare.


Oggi camminavo sulla mia strada, tenendo lo sguardo fisso a terra. Persa nei miei pensieri contorti, senza che l'inizio sperasse d'incontrare la sua fine.
Colori forti, in questa giornata d'asfalto grigio, mi passavano per la mente.
Ed ecco l'arancione di un palazzo di Lisbona, il giallo dei limoni di Sorrento, il blu cobalto del mare della Grecia e poi il rosa dei tramonti estivi che si mischia a quel sapore di vacanze e di sale.
Un sapore amaro improvviso si è sciolto sulla mia lingua.
Il sapore di una giovinezza persa troppo in fretta. Il sapore di una morte che, ingiusta, ha reciso il tuo sorriso. Un misto di sentimenti si sono spalmati sul cuore, come una marmellata d'arance amare. Uno di quei sapori che ti fa digrignare i denti e scuotere la testa in segno di disgusto.
Dopo le prime lacrime sciolte sulle prime pagine, la vita continua il suo canto. E di te non rimarrà che una foto a colori.
Ieri le fiaccole, oggi gli aperitivi. La vita riprende il suo corso e tu non ci sei più.

Ovunque tu sia, un sorriso per te.

Amaro è per chi muore.


A Gabriele.


On air: "Ain't No Sunshine" - Lighthouse Family.


Foto di Pascal Renoux.

11 novembre 2007

Mia Giovane Penelope.


Capelli come corde d’arpa ed occhi profondi come verità nascoste. Gambe di gazella, cuore di lupo, anima d'aquila. Dal tuo seno mi sono nutrita, dalle tue mani ho imparato cosa fossero le carezze, dalla tua lingua ho conosciuto i primi suoni, dal tuo profumo ho capito che ero viva.
Questo giorno ti vede donna e madre. Ti vede forte come radice d’albero secolare e fragile come goccia di rugiada. Alla tua onestà intellettuale io anelo. Respiro la tua esistenza ad ogni passo che compio, rispetto la tua forma d’essere e ti amo come non immagini.


Mia giovane Penelope, tanti auguri.


On air: "La Polonaise In Ab Major Op. 53" - Chopin eseguito da M. Pollini.


Quadro di Fernand Khnopff.

09 novembre 2007

[Caresse-Moi]


*Emozioni in costruzione*

On air: "Le Soirées Parisiennes" - Louise Attaque.



Foto di Pascal Renoux.

08 novembre 2007

Larmes Artificielles et Fumée Noire.

Le mura della sua stanza sono come un fortino. Ci si chiude nel proprio mondo, si viaggia su questa voce accompagnata dal ticchettio di dita - su questa tastiera nera a lettere bianche - che ne tiene il tempo.
Il tempo. Si pensa di averne sempre a disposizione.
Stanotte ha sognato suo nonno. Ha pianto abbracciata a lui, gli ha implorato di restare, ancora un pò, solo un altro pò tra le sue braccia. Apriva le narici sulla sua giacca di velluto. Ne respirava l'essenza, l'assenza. Nei suoi grandi occhi di ghiaccio ha letto la distanza che c'è tra la realtà ed il sogno, tra la speranza e l'impossibilità di cambiare. Eppure quegli occhi di ghiaccio l'hanno riscaldata.
Non si è struccata ieri, prima di andare a dormire.
Stamattina si è svegliata con il rimmel un pò sciolto sotto le ciglia. Ha pianto nel sogno. Ha pianto nel sonno.
E' triste, oggi. E' triste d'essere triste e ha un nodo in gola che non riesce a sciogliere. A volte desidera d'esser sola, di non appartenere a nessuno, di non sentirne il bisogno. Si ha voglia di bastare a se stessi. Vorrebbe evitare di prendere la rincorsa per saltare gli ostacoli. Perchè quando si cade dal terzo piano ci si fa male.
Invece, quegli ostacoli ci sono. C'è la voglia di andare lontano. La voglia di essere nomade, senza famiglia, senza casa, senza valigia. Portare, appesi al collo, solo i ricordi, intrecciati come una collanina di margherite. Ingoia queste parole che nascono dalle sue mani, senza che lei possa fermarle. Crescono e trovano questa pagina nera. Il cursore lampeggia e le incoraggia. Ventiquattro righe ed ancora dolore e ancora paura, parole vomitate mentre si sta ancora mangiando. E le parole si prendono per mano. Fanno quello di cui lei non è capace. Si lasciano prendere per mano. Lei, no. Lei scivola lentamente sul suo dolore e si lecca il pelo - ed il vizio che non perde - come i gatti.
Vorrebbe che dai suoi occhi cadessero lacrime artificiali.
Ma le sue non sono artificiali. Sono lacrime secche. E sono ancor più amare e salate.


In un'altra stanza, piccoli quadri impressionisti incorniciano le mura color pesca. Lei è seduta sul bordo del letto, fuma, nervosamente. Si dondola su se stessa, inseguendo su colline scoscese, le sue preoccupazioni. Il fumo prende le forme delle ore. Le ore che lei trascorre coi suoi silenzi. Ma questi sono troppo rumorosi perchè gli altri non se ne accorgano. Lamenti nella notte e singhiozzi soffocati e deliri esistenziali e ricordi che hanno la forma di antichi abiti cuciti a mano e sofà bordeaux tutt'impolverati. Il passato che suona il "Requiem di Mozart" e s'immagina il suo funerale. Quanta tristezza aleggia in quel fumo. Quello stesso fumo che racconta di lei liceale, di lei in quella Deux Chevaux partita dal sud Italia e arrivata sino a Bruge. Una perla blu sorretta da tre piccoli diamanti intorno al suo collo. Questo è quello che avrebbe desiderato regalarle. Rinunce e frustrazioni. Auguri scritti a mano, con una grafia che trema e ha la forma di lettere infantili. Si gioca a fare il ruolo della vittima e del carnefice. Oggi si è agnello sacrificato, domani lupo famelico. Il fumo si dissolve e rimane il suo viso che le parla senza proferire suono. Il suo viso riesce a straziarle gli occhi. Quanto dolore in quegl'occhi e quanta impotenza. Quanta rabbia e quanto passato masticato e non digerito. Si urla, silenziosamente, al cielo. Bestemmia un dio che non è il suo, ad occhi bassi. Si maledice il giorno in cui. Si ama. Si odia. Si respira quel fumo. Si mangiano unghie ed anima. E si torna a dondolare.

On air: "La jeune fille aux cheveux blancs" - Camille.

Foto di Chuwwa

07 novembre 2007

In Aria.


Un paio di calzettoni blu, di filo di scozia, uno spillone dorato teneva chiuso il kilt scozzese, un blezer blu, una camicia bianca, le scarpe "college". Due codini biondi, ben pettinati, talmente lunghi da arrivare fin sotto la schiena. Gli occhi limpidi. I denti un pò radi, un naso impercettibile si perdeva in quel viso perfettamente ovale. Le sopracciglia chiare, le labbra sempre un pò screpolate. Una bambina timida, si reggeva alla gonna della mamma, dove spesso ci nascondeva il viso, arrossendo.
Sgranava i grandi occhi al mondo, sempre in cerca di conferme, sempre con le mani fredde, perchè aveva paura dei giudizi degli Altri e della maestra Cesarina che urlava sempre durante l'ora di geografia.
Odiava i riavoli di Giuseppe, il cuoco della scuola. Quei "ravioli alla salvia" che per lei avevano il sapore della muffa.
Nascondeva nel piatto, sotto il purée di patate, la carne che non le piaceva e corrompeva, con i baci, la signora Renata, una delle domestiche della scuola, che la considerava come una "figlia" e le dava sempre i leccalecca senza farsi vedere dagli altri bambini.
Nel grande parco della scuola c'erano tanti giochi. Il suo preferito era l'altalena. Ci si avvicinava sempre saltellando. Prendeva la rincorsa e poi ci saltava su con un grande slancio aiutandosi con quei pochi chili fatti di ossa ed innocenza.
Trascorreva lì tutta la ricreazione mentre gli altri bambini giocavano "a lupo a lupo" o alla "mela avvelenata". Lei, invece, no. Se ne stava lì a dondolarsi, coi suoi pensieri, a contare le nuvole e a cercare, con lo sguardo, i trifogli.
In questo pomeriggio di luce invernale, mi è tornata alla mente quella bambina fortunata, che giocava in quella splendida scuola. Quella bambina di cui oggi non ricordo i sogni, o le paure più intime. Eppure, in questo preciso momento, riesco a percepire l'odore dell'erba sotto i piedi e l'energia di quella bambina i cui grandi occhi, in questo pomeriggio di novembre, vedo ancora.

On air: Keith Jarrett.

05 novembre 2007

GiraVolte.


Vortici d'aria intorno ai fianchi. La gonna si gonfia. Le braccia tese mentre ti fa volare, la testa all'indietro, la bocca aperta, i denti come avorio, la lingua come fragola, le mani come in un dipinto rinascimentale. La schiena come pelle di pesca, i piedi come ali su note di carillon. Ci si allontana ma la propria ombra rimane. Si torna a girare su se stessi.



On air: "Tu me fais tourner la tête " - Edith Piaf.

03 novembre 2007

Rond du Rendez-Vous.


Tutto cominciò in una notte di qualche anno fa.
Notte di lampioni e di luna timida che stentava a rendere pallida la mia pelle. Non ricordo il numero civico, ma ricordo il colore della maniglia di quel grande portone di legno. Era una maniglia d'ottone, un pò consumata. S'intravedevano, sotto quella porta, le luci del cortile dello stabile. Cercai il suo nome tra le tante targhette fluorescenti. Non lo trovai, in un primo momento. Allora, mi alzai sulle punte dei piedi, per cercarlo, come fa una bambina per farsi notare, al bacone del panettiere, con in mano il foglietto della spesa, scritto dalla mamma. Curiosa, col cuore che corre come un pazzo da legare. Era così difficile contarli quei battiti..
Come una scena rallentata di un film, ricordo esattamente il rumore che fece la porta, aprendosi. Col viso basso ed un buffo cappello in testa, la prima cosa che notai furono le sue scarpe. Celesti. Sorrisi, socchiudendo gli occhi. Alzai, timidamente, lo sguardo. Un corpo sottile ed elegante, una verticalità quasi gotica, fragile colonna dalle braccia lunghe, stava retto dinnanzi a me. Un naso insolente, i capelli molto corti incorniciavano quel capitello i cui occhi erano lapislazzuli; indossava una felpa scura con il cappuccio, troppo leggera per quel cielo che sembrava volesse nevicare; il dorso delle mani era viola, non so se per il freddo o per l'emozione. Avrei voluto disegnarci, con l'indice, delle stelle, fino a formare il mio nome. La prima cosa che pensai fu: "Sono arrivata fino a qui. Lui ora è davanti a Me. E' forse questa la Felicità?". Avrei voluto che tutto si fermasse in quel preciso istante. In quell'istante in cui lui affondò il suo viso tra i miei fili dorati ed io strinsi tra le mie braccia il suo collo da cigno. Era tutto magicamente surreale. Parlammo qualche minuto in quella notte gelata, senza stelle, senza tempo, senza spazio, in una lingua tutta nostra, una lingua senza suoni e senza apostrofi, una lingua fatta di gote rosse e occhi imbarazzati e assonnati. Una lingua che non conosce nazioni, passaporti e dizionari. Dai suoi occhi ho letto frasi di un sentimento giovane - e per questo confuso - e ho lasciato che lui decifrasse i miei. Dalle sue mani che tremavano ho letto la paura di lasciarsi andare a questo presente un pò sfacciato.
Il giorno dopo ci incontrammo, ancora. Il fiume scorreva lento alla nostra sinistra, le papere galleggiavano come fossero di gomma, le biciclette erano tutte in fila, ordinatamente parcheggiate lungo il marciapiede. Gli uccelli disegnavano con le ali il loro tragitto ed anch'io spiccai il mio volo, verso quell'appartamento, al terzo piano.
Ricordo quella piantina appoggiata sulla mensola che divideva l'angolo cottura dalla zona notte. Sorrisi vedendo che lui, passandoci accanto, ne accarezzò le foglie. Si girò e vedendo il mio stupore, esclamò ironicamente: "Perchè mi guardi così? Le piante hanno bisogno d'amore, come le persone".
Capii in quel momento che avrei voluto essere io quella pianta, anche solo per una frazione d'attimi, che avrei voluto che le sue dita si appoggiassero sulle mia labbra, come fossero fili d'erba.
Scrutai, attentamente, ma senza farmi accorgere, quel suo piccolo mondo. Mancava qualcosa, però. Mancava quel "tocco femminile" che non è presente dove non c'è Amore.
Ci sedemmo distanti l'uno dall'altro. Quasi una "distanza di sicurezza", per non cadere in quella trappola di profumi e frutti proibiti.
Con una voce timida ed insicura, guardandolo dritto negli occhi, fui capace di chiedergli solo una cosa: "Posso mangiare una mela?".
Lui mi sorrise passandosi una mano tra i capelli.
Mi diede quel frutto e mise su una canzone.
Tutto cominciò in quella notte di qualche anno fa.

On air: "Monsieur" - Thomas Fersen.

Foto di Pascal Renoux.

01 novembre 2007

Sottolingua e Sottopelle.



Gli scatoloni sono vuoti, pronti per essere riempiti.
I cuscini rossi e bianchi, che fanno pendant con le sedie. Il comodino dell'Ikea, montato all'una e mezza di notte, mentre io mangiavo la nutella col cucchiaio e tu cercavi le viti sotto il letto. Le tazzine di tutti i colori, i bicchieri biancopachi che mi piacevano tanto, il forno a microonde che ormai lo sai pure tu che le onde non funzionano più, ma lo tieni per ricordo, lo strofinaccio appeso al mobile di fianco al lavandino. La lampada costosa, la libreria piena di oggettini semi-utili. L'armadio è aperto, una felpa a righe - verdi e bianche - è appesa col cappuccio all'anta.
Le scarpe sotto l'asse da stiro di cui io non saprò mai che farmene. Le marmellate di tua madre, così buone, tutte da spalmare sul pane appena fatto.
Bisogna tirar fuori il vecchio lampadario della proprietaria e rimontarlo. Ricordi com'era brutto ed impolverato il primo giorno?. Niente a che vedere con quello che ti ho fatto comprare io. Sì, lo so. Ti ho fatto montare anche quello, di notte, ma se ricordi bene, la nutella era finita ed io ero tutt'intenta a reggerti per le caviglie, perchè avevo paura che tu potessi scivolare dalla scrivania.
Che bella luce faceva quel lampadario moderno.
Si rifletteva sul vetro della finestra. Le tende rosse da cui s'intravedeva sbuffare la canna fumaria del camino del vicino.
Oggi si staccano dal muro i posters anarchici, quello di Salvador Allende e i visi che sanno d'amore e di forza tutta al femminile. Le tazzine si avvolgono nella carta, con cura ed amore, nemmeno fossero bimbi in fasce. Le magliette si piegano su loro stesse, un pò tristi per dover cambiare un'altra volta ripiano. L'asse da stiro sa che verrà tirato fuori solo in qualche giorno speciale, per far festa insieme a qualche camicia stropicciata.
Si parte e s'arriva. Non si fa in tempo ad arrivare che già si riparte ed allora altri scatoloni. Ed un altro trasloco. Ed un altro armadio. Ed altri ripiani. Ed un'altra doccia. Bisognerà comprare un tappetino antiscivolo, prima che ci si rompa l'osso del collo. Ed un grattuggia parmigiano, che quello, lo sai, non manca mai.
Vorrei che tu avessi staccato, solo oggi, tutti i miei post-it. Ricordi? Quelli su cui ti avevo scritto " E perchè?". Al rientro, vedendo la parete tappezzata di giallo, scoppiasti in una fragorosa risata ed io fui felice come una liceale. Quello che ancora non sai è che scivolai per farlo. Scivolai perchè salii sulla spalliera del letto, persi l'equilibrio e finii con il sedere per terra. Risi come una stupida da sola, piegata su me stessa, reggendomi con una mano la schiena dolorante.
Ma ero così fiera di me e dei miei "perchè" a cui non sapevo dare una risposta.
Tuttora mi chiedo il perchè di molte cose. Mi chiedo perchè sono qui a pensarti e mi chiedo perchè avrei voluto aiutarti ad avvolgere, ancora oggi, quelle tazzine. A questi perchè una risposta non c'è.
C'è solo quel sapore di nutella sotto la lingua e quel ricordo di felicità che m'attraversa sotto la pelle.


On air: "I don't know what i can save you from" - Kings Of Convenience.