30 settembre 2007

Spine.


Si possono usare le parole più morbide o le più dure, ma quando ti graffiano, rimane - sulla pelle - la crosta.
Sono quella che sono. Quella che hai conosciuto.
Mentre tu ti pungi, io sanguino con te.

Espinas.

Se pueden usar las palabras más suaves o las más duras, pero cuando te rasguñan, te queda – sobre la piel – la postilla.
Yo soy lo que soy. La que tu conociste.
Mientras tú te pinchas, yo sangro contigo.

On air: "I remember" - Damien Rice.


28 settembre 2007

Comme sur la Lune.


Solo quattro giorni e già mi sembrano un'eternità. "Qualcuno" mi ha chiesto che senso avesse privarsi di qualcosa che, in fondo, ti fa sentire bene. Credo che avesse ragione. Abbandonare il blog non ha un gran senso, perchè scappare dalle cose è come staccare dal muro una bella fotografia e chiuderla in cassetto, per non soffrire, per non vederne più i colori.
A Roma, oggi, piove forte.
L'autunno è arrivato, all'improvviso, senza avvisare, ieri pomeriggio.
Apro l'ombrello e lo tengo stretto tra le mani, coprendomi il viso con il collo della giacca, troppo poco pesante. Mi riparo da questa pioggia di emozioni che non sono pronta a gestire. Il sole è pazzo, almeno quanto me. Salta da una nuvola all'altra.
L'acqua cade, goccia a goccia, ed io, sorrido e mi intristisco, con la stessa rapidità che ha il sole di comparire e scomparire.
Mi sento sulla luna, in questa bagnata mattina di fine settembre. Là, da qualche parte, le montagne sono già bianche.
Cerco un riparo. Je cherche un abri.

On air: "Le Parapluie" - Yann Tiersen & Natacha Regnier.

24 settembre 2007

Pulizie Settembrine.


Ho capito molte cose durante quest'ultimo mese. Ad esempio ho capito che sono affezionata in modo quasi morboso a questo blog, questo angolo di vita privata ma condivisa con quasi tout le monde.
Ho capito che assorbe molte mie idee e molto del mio tempo. Ho capito che le vostre storie, fatte di gioie e di dolori, io le ho ascoltate, ho sorriso leggendo i vostri successi e mi sono intristita apprendendo di una vostra sofferenza.
Tutto molto bello. Ma..
C'è un "ma". Sto pensando di aprire anche un altro blog dove scrivere. Dove s-c-r-i-v-e-r-e. Con questo verbo mi riferisco non alla mia vita privata - che quella interessa poco a me figuriamoci agli altri! - bensì a quello che si rincorre nella mia mente. Vorrei almeno provare a scrivere in terza persona (Fred, quanto avevi ragione..!) e vedere che ne verrà fuori. Senza nessuna presunzione. Senza etichettarmi, perchè a quello già ci pensano gli altri.
Devo dedicarmi agli esami in questo momento, e a fare pulizia sentimentale. Termine apparentemente brutto, sì. Ma, inevitabile. Per far crescere dei bei fiori nel mio giardino bisogna prima far pulizia, bisogna estirpare le erbacce che succhiano l'acqua ai miei fiori.
C'è bisogno di luce, di tanta luce per far chiarezza in questo momento di vita dove di luce ce n'è davvero poca.
Mi mancherà l'accedere, più volte al giorno, su questo sfondo nero per vedere chi ha letto di me. Mi mancheranno i vostri spazi colorati. Ma se a qualcuno importa di me, vi dico che tornerò, più in forma di prima e soprattutto con pensieri nuovi e con qualcosa di reale sul palmo della mano. Sto semplicemente staccaccando la spina per un pò di tempo dal "meraviglioso mondo".. Desolée. Amelie si ritira a vivere privatamente. Cappello e maschera per riflettere, per capire cosa c'è sotto quella maschera. Perchè ancora non lo sa.
Vi lascio con una frase di Pennac che a me piace molto:
"La felicità, la felicità..non c'è mica solo la felicità nella vita, c'è la vita!"
A bientot!
K.
Anche se non sono un'amante della musica di Antonacci, beh.. questa merita.
On air: "Sognami" - Biagio Antonacci.

21 settembre 2007

Temps Gagné.


Attese
recise e raccolte
come fili d'erba
tra i capelli

m'incoronano unica regina
dei miei giorni

in questo tulle d'inquietudine
mi avvolgono questo tempo
color del grano e
questo vento
che profuma di viola.

Attentes
coupées et ramassées
comme des brins d'herbe
dans les cheveux

qui me couronnent reine unique
de mes jours

dans ce tissu d'inquiétudes,
ce temps
couleur de blé
et ce vent
qui sent la violette
m'envoleppent
.

Esperas
cortadas y recogidas
como hilos de hierba
entre mi cabello

me coronan única reina
de mis días

en este tul de inquietud
ee envuelven este tiempo
color de trigo y
este viento
perfumado de violeta
.

* Merci à mon ami Adrien pour cette photo, magnifique.

Foto: "Crossedhearts" © di Adrien Obernesser.
Grazie a Verdemalva per la correzione nella traduzione francese.

On air: "La Valse d'Amelie" (orchestra version) - Yann Tiersen.

20 settembre 2007

Je Te respecte, du fond du cœur.

On air: "La Chanson d'Arnaud & Cecile" - Superflu.

Foto di Pietro Scatigna.

18 settembre 2007

Sostenibile Leggerezza.


Non si riesce, pur tentando, a comprendere quanto l'animo umano sia pieno di contraddizioni.
Si capisce, al contrario, quanto nell'assenza si riesca a percepire la presenza.

Si pensa agli Amori.
A quelli mai confessati, a quelli strazianti perchè non corrisposti. A quelli che ti fanno sobbalzare il cuore in gola, a quelli capaci di farti entrare in una stanza buia pur soffrendo di claustrofobia. Quegli amori che ti insegnano e ti mostrano te stessa. Quegli amori che ti prendono per mano, anche da lontano. Si sbaglia chi crede che amare da lontano non abbia significato. Amare a distanza richiede forza, caparbietà, costanza, tenacia, convinzione, progettualità.
Si apprezzano le piccole e semplici cose che, nella quotidianeità, sfuggono come i taxi in un giorno di pioggia.
Quegli amori che ti inzuppano il cuore di emozioni, talmente tante che dovresti rimanere giorni al sole, per poterlo asciugare.
Quegli amori che ti fanno sentire viva, grande. Quelli che si lasciano scoprire poco a poco. Quegli amori che si vivono senza doverci cucire addosso aggettivi o epiteti, che si sa, quelli, fanno presto a sbottonarsi.
Gli impercettibili difetti che ti avevano fatto innamorare, col tempo, potrebbero diventare delle crepe così profonde da non riuscire più a tenere in piedi il muro.
Tutto è scoprirsi. Ci si annusa come cani. Ci si tocca come fanno i bambini quando vedono per la prima volta qualcosa di diverso da se stessi. Ci si scruta, in ogni dove, in ogni angolo nascosto tra una ciocca di capelli e la piega di un vestito, per capire da dove si arriva e dove si è diretti.
Amori che partono, che aspettano ai binari, amori che mettono ali, per decollare. Amori che arrivano in stazione, che si baciano le mani ed il viso. Amori che si stringono tanto da togliersi il fiato, che si schiaffeggiano in piazza, per gelosia. Si inscenano commedie e tragedie. Si macchinano tattiche inutili e ridicole. Messaggi nel cuore della notte, senza senso. Lettere ricche come fiumi in piena. Significati che sfuggono, fanno un giro e poi, come gatti addomesticati, sanno trovare la via per tornare a casa.
L'Amore credo sia uno solo. L'amore quale Sentimento. Il sentimento quando incontra un viso ne prende le sembianze. Si compra un nome, un bel nome, magari. Veste gli abiti di quel viso. E tu, lo chiami per nome, ne scopri l'età, gli dài l'indirizzo del tuo cuore. E solo quando quel viso, restando in silenzio, ti trasmetterà la sua vita, semplicemente tenendoti per mano, solamente in quel momento, tu lo chiamerai Amore. E non importa, davvero, non importa, se le tue labbra, schiudendosi, avranno proferito quella parola altre volte. Perchè ogni volta sarà nuova. Perchè nuovo sarà quel viso, quelle mani da cui leggi il suo passato e cerchi di scoprire il tuo futuro.
Qualcuno ti farà sentire una sostenibile leggerezza dell'anima, leggerezza che si muove seguendo il vento della mattina.
Quando anche nell'assenza non ti sentirai completamente sola, quando un semplice ricordo ti farà sorridere, allora, ne sarà valsa la pena di aver dato a quel Sentimento quel nome così puro che è Amore.


On air: da "Les Retrouvailles", "Le Matin" - Yann Tiersen.

15 settembre 2007

A te, ragazza.

La voce di Charles Aznavour volteggia sui tasti bicolore del pianoforte.
Ti siedi per terra. Abbracci le ginocchia portandole al petto. Ci appoggi su il mento. Giri lo sguardo e vedi ai piedi del letto un libro con una bella copertina di pelle bordeaux. Lo fissi per qualche secondo. Chiudi gli occhi per sfogliarne con la mente tutte le parole.
Lo prendi tra le mani. Con cura.
Inizi dal fondo. Una, due, tre pagine. Tutte bianche.
La fine, di ogni cosa, lo sai..fa paura. Decidi, allora, di cominciare a leggerlo, stavolta, dall'inizio.
Dedica: "a ciò che è stato, a ciò che rimane".
Inizia una sfilata di souvenirs, di reliquie sentimentali, di caffé in tazze grandi, di musiche inattese, di sorprese mai fatte, di sapori sconosciuti. Un vetro spaccato a metà. Una tenda rossa da cui s'intravede la luce della luna. Le lacrime così dolcemente salate. Ti mordi le labbra tirando un sospiro.
Incorreggibile romantica, nostalgica, rimani coi piedi fermi sui tuoi principi e ti aggrappi, con tutta la forza che hai, ai tuoi valori.
Un'estate fa. Un autunno che muove i primi passi. Un golf bianco di cotone sulle spalle. Un inverno imprevedibile, non atteso.
Quello che c'è: pagine bianche, da scrivere. Non hai avuto abbastanza coraggio per farlo. Lasci che il libro ti cada dalle mani. Si apre su una pagina. Il tuo viso, felice.
"Pensa a te, perchè tu sei la persona più importante della tua vita".
Questa frase ti entra nella testa e non riesce più ad uscirne.

Lo so che vorresti prendere quella valigia marrone, nasconderci il tuo nano da giardino, per fargli fare un nuovo viaggio. So dove andresti, ora. In quel giardino botanico, in Spagna, dove una panchina vuota aspetta solo di essere riempita, dove le foglie per terra non danno un senso di morte ma di indipendenza.
Tu che hai sempre cercato di rimanere fuori dal coro. Tu che, con la tua voce buffa, ti sei sempre fatta riconoscere.
Tu che hai bisogno di essere amata per quello che sei, che non hai paura di mostrarti, di amare ciò che, a volte, agli altri non piace.
Tu che, ieri, hai avuto voglia di fotografare un abbraccio, che hai desiderato di poter mettere a fuoco le tue pupille per catturare quell'immagine nitida d'amore.
Tu che ami le persone per come sono e non per quello che hanno, che non hai paura di prendere in faccia il vento della vita.
Tu che non temi il vuoto sporgendoti sul presente come fosse un muretto che sovrasta metri di caduta libera.

Tu che ti fai del male, ricordando. Tu che vuoi rimanere sola per cercare la via d'uscita da questo limbo di emozioni. Perchè lo sai che nel limbo non c'è spazio per te. Ti perderesti tra odori che non riconosci ed in quel vapore che ti toglie il fiato.
Tu che, mentre il tempo scorre via, ti frantumi lasciando frammenti di te, sul tuo cammino.
E lo sai che quei frammenti nessuno te li ridarà più.

Allora, quello che posso dirti, anima mia, è una semplice cosa.
Conserva ciò che ti è sempre stato caro.
Conserva il Rispetto che hai di te stessa.
Quello nessuno ha il diritto o il potere di portartelo via. E' un bene troppo prezioso.

Sei capace di scrivere ancora. Non aver paura di farlo. Cerca di essere meno rigida, con te stessa e con gli altri.
Prendi in un pugno i cattivi pensieri e gettali alle tue spalle. Trattieni, invece, nell'altro pugno, tutto l'Amore che ti è stato donato.
Perchè sei stata fortunata, ragazza.



On air: "La Boheme" - Charles Aznavour.

07 settembre 2007

Buio di Sensi.



Nel buio dei sensi
tra la tua bocca e la paura
è breve la distanza
eppure io sento che mi sto perdendo
le parole mai dette
si dissolvono nella mente
cammino a testa bassa
senza mappe già disegnate
si sogna il contatto perfetto
le tue labbra che fanno l'amore con il mio ombelico
ma i tuoi occhi mentre ti allontani
non riflettono più l'immagine di me
preghi di esser capace di amare
preghi di esser capace di non amare più
perchè quando ti strappi il cuore
cercando di lavarlo
ti rimane solo il ricordo del suo battito
e non c'è maggior dolore del non capire
del restare a metà
tra la tua verità e la sua nera paura.

Foto: "Italian Mask"© di Claudio Martella.

On air: "Sei nell'Anima" - Gianna Nannini.


04 settembre 2007

Radici.






La mia carrozza è la 11. La prima del convoglio.
Salgo. Lo faccio, come al solito, trafelata. Sistemo i bagagli, sempre troppo pesanti.
Mi siedo e appoggio, come fanno i bambini, la fronte e le mani al finestrino. Guardo l'orologio della stazione. La sua rotondità segna le 19.00.
Si parte. Non riesco a staccare gli occhi dal paesaggio, così verde. Il vetro del finestrino è sporco, biancopaco, ma nonostante questo riesco a percepire il movimento degli alberi mossi dal vento, là fuori.
Dietro i campi, il sole si sta ritirando come un attore dopo gli applausi. Lo fa piano piano, sembra quasi volere che qualcuno lo preghi di restare, per fare un bis.
Torno verso casa. La mia casa. A Roma io sono cresciuta, ma non ci sono nata.
Le mie radici sono altrove.
Sono nella terra dei sorrisi e delle approssimazioni, nella terra del caffè e dell'odore del mare, della carta sporca ai bordi delle vie, del profumo delle sfogliatelle alla crema esposte nelle vetrinette dei vicoli, della pizza della regina, del presepe, dei clacson furiosi, nella terra del calore umano, delle grida dei bambini, del sole amaro, del calore del Vesuvio.
Oggi, prima di partire, in un abbraccio ho perso il mio presente mentre occhi mi hanno raccontato il mio passato.
Mi hanno raccontato una storia che affonda le sue dita nella terra del sud, che profuma di pane cotto nel forno a legna.
Mi sono seduta sotto un albero questo pomeriggio.
Mi hanno trattenuta radici forti e vere. Un albero che in cima ha foglie tutte bianche. Mi hanno avvolta, con tenerezza infinita, mani di madre e di nonna.
Nei suoi occhi la sua storia, la nostra storia, il dolore e l'amore.
Racconti di legna consumata, di camini accesi, di carte francesi, di cesti di mandarini e di noci, racconti d'argento e di guerra, di un cappello bianco e nero caduto nel fango in mezzo alla via, al tempo, non ancora asfaltata, della preziosità di Capri d'inverno.
Un pianoforte a coda mostra vecchie foto ingiallite ma i capelli no, quelli erano rossi come un tramonto estivo.
Mi sono lasciata andare. Ho lasciato che occhi umidi, che sanno di vita e di figli nati e cresciuti, di mariti amati e poi persi, si raccontassero.
Nei ricordi, i rimpianti. Sul tavolo i girasoli sempre gialli.
Intorno a quel tavolo sei donne, alcune di loro con due fedi all'anulare. Sei donne forti come le radici di un albero che ha resistito alle tempeste più violente, un albero che ha visto le stagioni più belle, che ha assistito alla caduta delle sue foglie in autunno, che è gelato assieme agli inverni più freddi, che ha dato vita ai fiori più colorati, in marzo.
L'Amore e la Morte nei loro sospiri, nelle loro parole comunicate con uno sguardo, le mancanze, gli abbandoni inaspettati, le partenze dolorose, il ricordo del boato delle bombe della guerra che è capace, tuttora, di turbare i loro sonni. Raccontano dei saluti ai propri cari, al porto, quando partirono, quarant'anni fa, per andar a cercare fortuna nel lontano Venezuela, dei loro accenti che, al contrario, non partirono mai, delle lettere che si attendevano giorni e giorni, della contentezza nell'avere, finalmente, quelle lettere tra le dita, del sapore del vero caffè napoletano, delle pesche del vecchio giardino che, se ci fosse ancora, saprebbe regalarci i profumi di un tempo.
Lacrime che corrono giù sul viso, veloci fino al naso. Si fermano in bilico sull'angolo della bocca, tra una ruga ed un sorriso che scoppia improvviso, quando qualcuna di loro dice qualcosa in dialetto ed allora passa la tristezza.

Questa mattina alle 6 un temporale mi ha svegliata. Ho portato i miei piedi pigri e gli occhi che profumavano ancora di sonno fino al balcone. L'acqua del cielo stava lavando il cortile. Stavo aspettando che l'aria cambiasse, che diventasse più fresca. Ho aperto la finestra. Ho abbracciato me stessa per ripararmi da quel vento che in pochi secondi mi aveva fatto venire la pelle d'oca. Ho chiuso gli occhi, poi li ho riaperti per guardare il cielo. E per la prima volta mi sono sentita a casa. Semplicemente, a casa. In quella casa dove oggi pomeriggio delle grandi donne si sono raccontate, in quella stessa casa dove mio nonno mi dava la cioccolata prima di cena senza farsi vedere da mia madre, dove da piccola a Natale s'imbandivano due tavole, il "tavolo dei grandi e dei piccoli", dove non si riusciva mai ad aspettare la mezzanotte per scartare i regali e dove il 31 dicembre si sparavano i botti dal terrazzo facendo attenzione a non mandare a fuoco il giardino del vicino.
Oggi, mi sono sentita parte della famiglia. Una famiglia che, anche se divisa, anche se strappata e ricucita, è pur sempre una famiglia. La mia famiglia.
Oggi mi sono sentita fiera di venire dal sud di questo Paese. Fiera di ciò che sono le mie radici.

Serena e sicura, sotto quell'albero.


Foto di Pascal Renoux.





Escuchando: "Resta Resta Cu'mme" di Pino Daniele.