30 maggio 2008

Un doppio caffè americano, per uno.

Everybody needs a place to talk


Il termometro segnava trenta gradi e l'asfalto era rovente. Sara era indecisa su quali scarpe mettere. I sandali neri col tacco alto e sottile o quelli rossi, bassi, più informali e sicuramente più comodi?.
Le sei del pomeriggio erano arrivate senza che lei se ne rendesse conto. Sale sull'autobus, si libera subito un posto e lei, con la rapidità di una gatta, sedendosi, tira un sospiro di sollievo.
Il suo sguardo si posa su un libro che una ragazza teneva tra le mani, sulla copertina c'era scritto: "lire cinque". La ragazza, come in bilico, con una mano teneva il libro tutto ingiallito aperto a metà e con l'altra, a stento, riusciva a reggersi alla maniglia sospesa, tra una frenata ed una curva, rispose con un sorriso allo sguardo attento di Sara e così, lei, trovò il coraggio per chiederle che libro fosse il suo e quanto fosse vecchio per costare così poco..! La ragazza le rispose che sì, era un libro davvero vecchio su cui stava adattando una rappresentazione teatrale. Era un' attrice lei, dai capelli lucidi e lunghissimi, stretti in una sottile coda di cavallo.
Parlarono del caldo, del tempo, del fatto che l'aria condizionata in quell'autobus, che assomigliava di più ad un carro bestiame, fosse rotta e di come il caldo quando irrompe, si fa sentire nell'impazienza e nella facile irritabilità della gente.

Sara, s'era immersa nel caldo, pregustando la freschezza di quell'appuntamento.
Lei era rilassata, senza pensieri, quasi sospesa in una realtà senza tempo.
Il cellulare di Sara vibra e parole inglesi s'illuminano sullo schermo : "I'm here early. Where are you?".

John era in anticipo, Sara ancora in autobus.

Lei vede subito le sue possenti spalle, lui china la sua perpendicolarità da "big ben" e le bacia le guance.

I loro piedi tagliano le traiettorie delle rotaie dei tram.
Si insinuano nei vicoli della vecchia e buona Roma, passeggiano lungo le mura che parlano di storia e di dolori. Alla fine il "Portico d'Ottavia" s'apre nella sua bellezza con quelle finestrelle di legno consumato, tipiche delle antiche facciate dei palazzi del centro storico.

"Ti piacciono i films di Totò?", le chiede velocemente lui.
Sara ride, alzando un sopracciglio e rimane stupita della domanda. John da buon inglese non riusciva a pronunciare il nome "Totò". Le sue "o" rimanevano strette tra i denti.

La piazza era gremita di gente che si sventolava con le cose più svariate: un giornale, un cappello, una locandina di un "corso di taglio e cucito"..
Lui le indica una bambina che pedalava felice su una bicicletta rossa.. ad aspettarla a braccia aperte, poco più in fondo, c'era suo padre, con in testa una kippah nera, così perfetto in quel luogo..

Sara scopre che John è molto attento ai particolari di quel pomeriggio. Questo a lei piace ma, d'improvviso, lui esaspera, volutamente, il suo snobismo e comincia a sparare critiche sugli italiani, su quanto questi siano omologati, e di quanto sia stranamente sparito l'individualismo, dall'Italia stessa partorito.
Sara, pur condividendo molte delle critiche, non ne apprezza il tono troppo dispregiativo.

Arriva il cameriere, piuttosto maleducato, perchè chiede solo a lui cosa desidera ordinare, e lui, ironicamente maleducato ordina, solo per sè, due caffè americani, con sei bustine di zucchero.
Sara, impiega qualche secondo per superare lo stupore e l'imbarazzo di fronte a questa doppia maleducazione, e così ordina per sè, malvolentieri, un tè freddo al limone.

Il tono del momento si solleva quando i due parlano di cinema.

Federico Fellini e la sua "Dolce Vita" e l' "Eclissi" di Antonioni fanno rinascere in Sara l'interesse per quel ragazzo. Le sembra d'essersi di nuovo librata in aria ma viene richiamato il cameriere per chiedere il conto ed il volo di Sara, d'improvviso, perde quota. La somma di quegli scontrini bagnati dalle gocce del tè freddo, arriva. Lei, in quanto invitata, per un attimo ignora la somma da pagare.
Prende dalla borsa delle banconote facendogli intendere, anche se con imbarazzo, che non sa cosa fare.
Il colto gentleman inglese afferra una banconota dalle mani di Sara e le dice: "Ok, give me something".

In quel momento il caldo sembra sparire in quella situazione di gelo tra i due.

"Should we go?" le chiede lui, frettolosamente.

"Sì. Sono le venti. Devo andare", risponde lei.

Sara, sul ciglio della strada, guarda John che si allontana. Per un attimo rimane interdetta ma presto si rende conto di essere felice.

Felice d'aver fatto la scelta giusta: ha calzato i sandali rossi, bassi, che le permetteranno di tornare a casa, di corsa.


On air: "Alle venti" - Audio 2
.

25 maggio 2008

Dimanche.


In questa domenica di sole sono tante le cose che vorrei dire, eppure la sintassi mentale si sgretola e le emozioni galoppano troppo veloci perchè io possa afferrarle in tempo.
Stanca di inseguire arcobaleni e di proteggermi dai fulmini, silenziosa me ne sto nella mia vita, lasciando che sguardi-cose-parole mi attraversino la pelle. Alle volte, alcuni di quegli sguardi-cose-persone mi lasciano come un neo addosso, molti sono impercettibili, nascosti in un dove che solo io conosco, che solo io posso scovare. Altre volte, invece, niente. Nessun passaggio sulla pelle, solo qualche scottatura, come quelle che si prendono i primi giorni di sole, al mare. Ti bruci, ma poi, in fondo, tutto passa. Non cerco "pacche consolatorie sulle mie spalle. Ho solo voglia di trovare la forza di raggiungere un obiettivo. Cerco quella voglia di futuro e il coraggio di lasciar andare il passato in una memoria tutta mia, tutta profonda e profumata, ma m e m o r i a. Non si può vivere nel ricordo di ciò che è stato bello sperando che il futuro vesta gli stessi abiti. Vorrei aprire le braccia in questa domenica di sole, gettar la testa indietro, lasciare che questo venticello romano sfiori i miei capelli e pensare al futuro, tutto vuoto, tutto bianco, tutto da dipingere. Sì, da dipingere a pennellate di pensieri nuovi.

Voglio pensieri nuovi, ecco cosa voglio.

*On air sempre Yann Tiersen, come un vecchio giradischi che "s'incanta", come un carillon di vecchi e nitidi ricordi. perchè, in fondo, da questa musica mi lascio cullare.

20 maggio 2008

La ragazza della finestra di fronte.


Piove. Il ragazzo va alla finestra, la apre per guardare la pioggia che cade. Annusa l’odore d’aria bagnata. Il cielo è grigio e grigie sono le pareti del cortile.
Il suo sguardo che scorre il perimetro del muro si ferma sull’immagine della ragazza dietro i vetri della finestra di fronte.
La sua blusa rossa è l’unico punto di colore. I suoi pensieri come aereoplanini di carta, sembrano prendere il volo ma presto atterrati da una profonda tristezza mista a malinconia. Il ragazzo lo percepisce e si domanda il segreto di quegli occhi.
Lui rimane immobile e concentrato a interpretare quell’immagine come un visitatore di una mostra davanti ad un dipinto. Lei - dietro la finestra - l’immagine dipinta, la finestra di fronte - la sua cornice.
La ragazza continua a fissare la pioggia con lo sguardo innocente di una bambina.
All’improvviso, lei scompare dietro la tenda che, chiudendosi, porta con sé la sua malinconia.
La finestra di fronte rimane vuota come lo sguardo del ragazzo.
La pioggia batte forte e lui si domanda se lei farà ritorno.


*da uno scritto di Iorgakis, per me.

On air: Yann Tiersen.

Foto: "Waiting for" di Petitescargot.

17 maggio 2008

Kalispera.


Le spalle le rivolgiamo alle antiche rovine di Roma, a quel che rimane dei resti di un antico tempio a Largo di Torre Argentina. Eccole lì quelle colonne che il tempo, benevolo, continua a tenere in piedi.
La bocca rimane chiusa ma i tuoi occhi da dietro quegli occhiali dalla montatura spessa, nera, leggono profondamente tutta la mia paura d'esistere, tutti i miei dubbi sul domani che verrà.
Domani è arrivato e non ci sono più colonne alle nostre spalle a reggersi in piedi e a custodire parole mai dette. C'è una vecchia panchina e noi ci sediamo sul bordo dello schienale. La luna è pallida ed il venerdì è pieno di luci e di macchine che si danno appuntamento in piazza.
Alle spalle c'è l'Oviesse. In vetrina quei manichini tristi, tutti uguali con delle orribili parrucche. La mia bocca rimane chiusa, di nuovo. Questa volta lo so che i tuoi occhi sanno leggere i miei. Sposto il viso e lo porto lontano dove tu non puoi vedermi.
All'improvviso, due dita sotto il mento ed uno scatto repentino mi portano alla realtà. Ed eccoci qua, di nuovo, a parlare di me. Ed io sono l'universo intorno a cui girano i miei mondi paralleli, così diversi ma in fondo così simili, le loro traiettorie si sfiorano in quello spazio infinito che c'è tra il tuo accento greco ed il mio silenzio che parla e parla.

"Due cose sono gratis: i sorrisi e la pazzia", mi dici, con lo sguardo che taglia l'aria, da dietro gli occhiali. Ed io non posso non sorridere.

La ragazza della finestra di fronte sa che tu sei abbastanza pazzo, sì. Altrimenti non ti avrebbe scelto come amico.

Efharisto, Iorgakis.


On air: "Passione" - Neffa.

Foto: "Saint Peter" di Claudio Martella.

10 maggio 2008

le Manège.


Il silenzio s'è fatto spesso, coltre di polvere su parole non dette. Tutto è afono, anche i sentimenti. Niente ha più senso, le labbra rimangono incollate, sigillate. Mi chiudo come una lumaca nel proprio guscio, sulla pelle nessun raggio di luce. Non ho voglia di uscire, di vederti, di vedervi. Non ho voglia di spiegare i miei perchè ad orecchie sorde e sensibilità monche. Parole senza accenti ed occhi vuoti, anime fatte d'aria, delusioni palpabili. Questo siete. Mi gira la testa, la nausea sale dallo stomaco alla lingua. Voglio scendere da questa giostra che gira contro senso, e scenderò.
Non ho più voglia di raccontare, non c'è nessuna storia da cucire, da tessere e condividere, nessun ricordo di te mi entra negli occhi. Ora ci sono solo io, qui, con questa voglia di tirare il freno e dire che mi basto solo io, in questo mondo. Stasera c'è un sano egoismo a tenermi compagnia ed una lacrima congelata tra le pieghe del cuore.