17 marzo 2008

Tempête.


E' proprio quando pensi d'essere libero che, invece, sei prigioniero dei tuoi stessi pensieri. Cammini a testa alta, con passo svelto e sicuro, i tacchi degli stivali calpestano l'asfalto. Un passo, poi cento. Di strada nei hai fatta eppure sembra d'esser rimasti al punto di partenza. Ti senti grande, ti senti forte. All'improvviso un meteorite d'emozione ti taglia la strada e tu rimani con le gambe paralizzate.
Ti do le spalle ma il tuo sguardo m'insegue. Ho fame, ho sete. Mangio, bevo, ma non mi sento sazia. Lo stomaco miagola, c'è fame d'amore qui.
C'è sete di carezze e parole sussurrate tra il collo ed il seno. C'è bisogno di quella dolcezza che è capace di sciogliere le parole in miele. C'è la voglia di raccogliere i tuoi sospiri - come tanti granelli di zucchero - coi polpastrelli per portarli fin sulle labbra. La lingua ci scivola sopra come un'onda sulla sabbia. Con un bacio ho provato a dimenticare la dolcezza della tua bocca ma..
Ricordi quando, in quella stagione che vive solo nella nostra memoria, i tetti spioventi custodivano le tue labbra sulle mie? Ricordi che il soffitto disegnava un arc-en-ciel e le nuvole prendevano la forma di un escargot? Ricordi com'eravamo innocenti?.
Sto provando ad allontanare dai pensieri il suono dei tuoi passi sul cuore. Ma.
Vorrei averti solo immaginato, vorrei pensare d'averti costruito come si fa con i lego, vorrei buttare giù il castello con un soffio di pianto, chiudere gli occhi, e trovarlo ancora là, più forte di prima.
Le fondamenta vengono ingoiate dal fango, la barca affonda. Cosa rimarrà di tutto questo? La tua lingua sa dirmelo?.
Un relitto sul fondo dell'oceano, tra le vele di quest'animo in tempesta. Ecco, quel che rimarrà.


On air: "Vingt-cinq ans" - Superflu.

4 commenti:

enzorasi ha detto...

Lasci le parole sul foglio con la stessa disarmante incompleta forza di un gioco onirico. E' la stessa sensazione che lasciò dentro me il film che ti fa da abbraccio. Io sono stato concepito nell'autunno del 1951 a Parigi, in rue de Rivoli, vicino al Louvre: me lo ha raccontato mia madre con un sorriso. Lei e mio padre hanno vissuto in Francia per 3 anni consecutivi ma io sono nato in Sicilia, a Palermo e credo di finire il discorso da queste parti. Mi hai fatto l'invito più garbato e delizioso degli ultimi 2 anni, venire su questo velluto nero è il mio modo di ringraziarti signorina. Guardandomi in giro il gioco onirico continua...non sono certo che tu sia la medesima donna che è venuta da me ma siamo pieni di specchi, no? Devo osservare con maggior intensità e più tempo prima di poterti dire:
"Giusto era il segno: chi l'ha ravvisato non può fallire nel ritrovarti.
Ognuno riconosce i suoi: l'orgoglio non era fuga, il tenue
bagliore strofinato laggiù
non era quello di un fiammifero."
E. MONTALE

KikiPetite ha detto...

@EnzoRasi: la signorina, arrossendo, sorride nel vedere le tue lettere virtuali danzare su questo "velluto nero". Sappi che il tuo nome sarà uno dei mondi che graviteranno intorno al mio. La tua rotta non la voglio perdere, in alcun modo. Le tue storie saranno tante perle. Le infilerò, una ad una, per costruirci una collana che sarà un gioiello. Ed il mio collo, così, risplenderà.
Grazie, d'esser stato qua.

Anonimo ha detto...

commozione e ammirazione per questo blog.
null'altro da dire

digito ergo sum ha detto...

Ma petite... resta sempre e soltanto una lingua sul cuore. Da' strane sensazioni ma scalda, nello stesso tempo. Non è la barca che affonda che deve preoccupare, va valutato quanto la barca ha viaggiato prima di arenarsi definitivamente. Non è la "sfortuna" di ciò che finisce, è la fortuna di averlo vissuto. Non è il bicchiere, sia questo mezzo pieno o mezzo vuoto, è il contenuto e la soddisfazione che ci ha dato, mentre bevevamo. Ti abbraccio, dolce anima bella.