04 settembre 2007

Radici.






La mia carrozza è la 11. La prima del convoglio.
Salgo. Lo faccio, come al solito, trafelata. Sistemo i bagagli, sempre troppo pesanti.
Mi siedo e appoggio, come fanno i bambini, la fronte e le mani al finestrino. Guardo l'orologio della stazione. La sua rotondità segna le 19.00.
Si parte. Non riesco a staccare gli occhi dal paesaggio, così verde. Il vetro del finestrino è sporco, biancopaco, ma nonostante questo riesco a percepire il movimento degli alberi mossi dal vento, là fuori.
Dietro i campi, il sole si sta ritirando come un attore dopo gli applausi. Lo fa piano piano, sembra quasi volere che qualcuno lo preghi di restare, per fare un bis.
Torno verso casa. La mia casa. A Roma io sono cresciuta, ma non ci sono nata.
Le mie radici sono altrove.
Sono nella terra dei sorrisi e delle approssimazioni, nella terra del caffè e dell'odore del mare, della carta sporca ai bordi delle vie, del profumo delle sfogliatelle alla crema esposte nelle vetrinette dei vicoli, della pizza della regina, del presepe, dei clacson furiosi, nella terra del calore umano, delle grida dei bambini, del sole amaro, del calore del Vesuvio.
Oggi, prima di partire, in un abbraccio ho perso il mio presente mentre occhi mi hanno raccontato il mio passato.
Mi hanno raccontato una storia che affonda le sue dita nella terra del sud, che profuma di pane cotto nel forno a legna.
Mi sono seduta sotto un albero questo pomeriggio.
Mi hanno trattenuta radici forti e vere. Un albero che in cima ha foglie tutte bianche. Mi hanno avvolta, con tenerezza infinita, mani di madre e di nonna.
Nei suoi occhi la sua storia, la nostra storia, il dolore e l'amore.
Racconti di legna consumata, di camini accesi, di carte francesi, di cesti di mandarini e di noci, racconti d'argento e di guerra, di un cappello bianco e nero caduto nel fango in mezzo alla via, al tempo, non ancora asfaltata, della preziosità di Capri d'inverno.
Un pianoforte a coda mostra vecchie foto ingiallite ma i capelli no, quelli erano rossi come un tramonto estivo.
Mi sono lasciata andare. Ho lasciato che occhi umidi, che sanno di vita e di figli nati e cresciuti, di mariti amati e poi persi, si raccontassero.
Nei ricordi, i rimpianti. Sul tavolo i girasoli sempre gialli.
Intorno a quel tavolo sei donne, alcune di loro con due fedi all'anulare. Sei donne forti come le radici di un albero che ha resistito alle tempeste più violente, un albero che ha visto le stagioni più belle, che ha assistito alla caduta delle sue foglie in autunno, che è gelato assieme agli inverni più freddi, che ha dato vita ai fiori più colorati, in marzo.
L'Amore e la Morte nei loro sospiri, nelle loro parole comunicate con uno sguardo, le mancanze, gli abbandoni inaspettati, le partenze dolorose, il ricordo del boato delle bombe della guerra che è capace, tuttora, di turbare i loro sonni. Raccontano dei saluti ai propri cari, al porto, quando partirono, quarant'anni fa, per andar a cercare fortuna nel lontano Venezuela, dei loro accenti che, al contrario, non partirono mai, delle lettere che si attendevano giorni e giorni, della contentezza nell'avere, finalmente, quelle lettere tra le dita, del sapore del vero caffè napoletano, delle pesche del vecchio giardino che, se ci fosse ancora, saprebbe regalarci i profumi di un tempo.
Lacrime che corrono giù sul viso, veloci fino al naso. Si fermano in bilico sull'angolo della bocca, tra una ruga ed un sorriso che scoppia improvviso, quando qualcuna di loro dice qualcosa in dialetto ed allora passa la tristezza.

Questa mattina alle 6 un temporale mi ha svegliata. Ho portato i miei piedi pigri e gli occhi che profumavano ancora di sonno fino al balcone. L'acqua del cielo stava lavando il cortile. Stavo aspettando che l'aria cambiasse, che diventasse più fresca. Ho aperto la finestra. Ho abbracciato me stessa per ripararmi da quel vento che in pochi secondi mi aveva fatto venire la pelle d'oca. Ho chiuso gli occhi, poi li ho riaperti per guardare il cielo. E per la prima volta mi sono sentita a casa. Semplicemente, a casa. In quella casa dove oggi pomeriggio delle grandi donne si sono raccontate, in quella stessa casa dove mio nonno mi dava la cioccolata prima di cena senza farsi vedere da mia madre, dove da piccola a Natale s'imbandivano due tavole, il "tavolo dei grandi e dei piccoli", dove non si riusciva mai ad aspettare la mezzanotte per scartare i regali e dove il 31 dicembre si sparavano i botti dal terrazzo facendo attenzione a non mandare a fuoco il giardino del vicino.
Oggi, mi sono sentita parte della famiglia. Una famiglia che, anche se divisa, anche se strappata e ricucita, è pur sempre una famiglia. La mia famiglia.
Oggi mi sono sentita fiera di venire dal sud di questo Paese. Fiera di ciò che sono le mie radici.

Serena e sicura, sotto quell'albero.


Foto di Pascal Renoux.





Escuchando: "Resta Resta Cu'mme" di Pino Daniele.

9 commenti:

Anonimo ha detto...

a quanto pare questi giorni ti hanno aiutato a scoprirti donna tra donne.
radici: un'anatomia invisibile che non si recide. MA non si torna a loro. si è anche radici.
un bacio fabri

p.s. scrivo il mess per la seconda volta.la connessione fa bizze..

Anonimo ha detto...

Le buone amicizie come gli arbusti più tenaci hanno bisogno di radici forti e profonde, purtroppo qualche anno fa quando ti ho conosciuta ho deciso di mettermi vicino a te sognandoti e desiderandoti, col tempo ho capito che non basta un desiderio per avere qualcuno, ci vuole scaltrezza ed impulsività, io con te ho lasciato spazio solo all'amicizia, per me importante, ma che ha radici molto fragili, le mie, Kiki, sono forti e robuste fin quando sono vicino a te.
TVB, Ema.

KikiPetite ha detto...

@Marvos: ..già te l'ho scritto ieri. Le mie gambe come radici, ma il suolo? Lo conosciamo davvero il suolo che tutti i giorni calpestiamo? Non so, davvero, non so.
Restiamo ad osservare al di là di noi stessi. Ti bacio, ti bacio, ti bacio.
Ps. Non solo la connessione fa le bizze..

@Ema: Amico mio..le tue parole inaspettate mi hanno lasciata senza fiato. Belle parole ma il cui senso non voglio afferrare, per paura, forse. Questo mio spazio non è adatto per ospitare le nostre parole. Sai dove trovarmi. Ad un passo da te. Ti voglio bene anch'io.

apepam ha detto...

Il tavolo dei grandi e dei piccoli..
Kiki, ritorno ai ricordi di Natali passati in una casa dove ora la famiglia non c'e' piu'.
Rimangono tanti frammenti, e quel calore.
Si viaggia su queste tue parole..
1bacio, sorellina.

KikiPetite ha detto...

@Ape: il tempo volando porta con sè persone, voci e profumi. Ma il calore, quello, lo sento dentro tutte le volte che mi avvicino a qualcosa che mi è appartenuto.
Mi sono resa conto che per capire chi siamo bisogna partire da lontano, dalle radici, appunto.
Felice che tu sia riuscita a viaggiare sulle mie parole. A volte vorrei anch'io sedermici sopra e lasciare che mi portino via anche solo per qualche istante.
Ti abbraccio, sorellina.

LeCannu ha detto...

Bentornata, cara kiki.. Sentivamo la tua mancanza.

Ti abbraccio forte, io sono qui!

KikiPetite ha detto...

@LeCannù: bentrovato a te, caro Andre. Lo so che sei qui. Lo sento.
Un abbraccio forte forte forte.

Penelope ha detto...

Sempre il ritorno! il ritorno alle origini,alla terra , alla madre, alla madre di lei e ancora più in la'.Quando sei vicino all'albero dalle cosi forti radici, cogli senza timore i suoi frutti migliori,butta via quelli amari,sei cosi' giovane! non aver fretta ,siediti un attimo e guarda con gioia al tuo domani che affonda le sue radici in ciò che sei oggi,persona bella,incantata, vera.Da un fragile ramo ,tra quei rami, figlio di quelle radici.Per sempre,Penelope.

KikiPetite ha detto...

@Penelope: una vita, un inizio come tanti. Un percorso, a volte, ad ostacoli. Una partenza solo sperata, solo sognata, una partenza necessaria. E poi, inevitabilmente, il ritorno.
A ciò che siamo state, a ciò che siamo e che saremo. Si torna sempre un pò indietro, per guardarsi dentro, da fuori. Quello che Lei era tu sei. Quello che tu sei, io sarò. Grazie per esserci. Sempre. Con me.