Si sente il fluire del sangue nelle vene. La pelle ancora troppo chiara lascia intravedere i sentimenti che liquidi scorrono gli uni sugli altri. Allora ci cammino sopra, ogni tanto inciampo, mi scosto i capelli dal viso con il dorso della mano, mi sistemo la lunga gonna, abbasso il volto, sorrido se qualcuno mi ha vista cadere. E fingo che tutto vada bene.
Mi rialzo continuando sulla mia strada, cercando di non ricadere di nuovo su quei "san pietrini" di emozioni, agrodolci ed impulsive. Parlo di fragilità. Qualcuno me l'ha fatto notare. Ed io ho spiegato. Ho tentato, perlomeno, di spiegare che la fragilità non è sintomo di debolezza. Al contrario, la fragilità è solo il sintomo di qualcosa di estremamente prezioso, che bisogna custodire con cura. Come un bel vaso di cristallo appoggiato sull'angolo di un mobile. Guardi quel vaso pensando che sia un bell'oggetto. Un oggetto fragile, però. Fragile, ma non per questo meno bello. Bisogna capire quando si è capaci di tenere con cura qualcosa, e quando non lo si è. Molti non ci fanno caso e continuano a muoversi come elefanti tra vasi di cristallo non riconoscendone la preziosità, pensando di poter ricomporre i vasi rotti o di ripagarli, con qualche sorriso. Gli anestetici sorrisi non servono più. Ci siamo assuefatti oramai. Bisogna prendersi cura di sé.
Sono immobile, nel mio sentire.